Tibetan Peach Pie - Tom Robbins


Fernanda Pivano lo definì: Il più pericoloso scrittore vivente. Se non lo conoscete o, peggio ancora, non lo apprezzate, beh, fareste meglio ad alzare i tacchi e tornare a dedicarvi a una di quelle stronzate da premio Strega che siete soliti leggere: inutili romanzetti scritti col culo da addetti ai lavori, visto che quasi nessuna grande casa editrice ormai lascia più scrivere i suoi romanzi ad autori veri e propri, preferendo affidare il lavoro ai propri editor o impiegati, o scambiandoseli a vicenda, prestandoseli, così da eliminare nel meccanismo produttivo qualsiasi voce nuova, anticonformista, scomoda magari o semplicemente diversamente professionale. Inutile dirlo ma lui è esattamente questo, una voce fuori dal coro, anticonformista, psichedelica, ironica, garbata, visionaria, musicale, poetica. Certo per goderne appieno bisognerebbe avere la possibilità di leggerlo in lingua originale, per rendersi conto dell’immane lavoro di cesello con cui rifinisce ogni sua frase, ma mi rendo conto, avendoci provato, che così facendo, a meno di non avere una perfetta padronanza della lingua, si rischia di perdere tutto il divertimento della lettura di quelli che lui definisce piccoli libri e che sono invece veri e propri capolavori alternativi.

Se non l’aveste capito sto parlando di Tom Robbins, vero e proprio autore di culto la cui popolarità negli Stati Uniti è pari a quella di una rockstar. Ok, se davvero state cascando dal pero a questo punto avete solo due possibilità: la prima è quella di alzare i tacchi, far finta di niente, infilare la testa sotto la sabbia e tornarvene davvero ai vostri libri Strega; che poi, permettetemi una divagazione, non avete mai reputato strambo, se non demenziale, che il più rinomato premio letterario italiano sia patrocinato non solo da un liquore, ma da un liquore che nessun frequentatore di bar, come il sottoscritto, abbia mai visto ordinare da un qualsiasi avventore? La seconda possibilità invece è quella di farvi strapazzare un pochettino con questa brutta copia di articolo gonzo e magari, alla fine, scoprire qualcosa di nuovo.

Tom Robbins nasce in North Carolina, a Blowing Rock, nel 1932 e dopo aver studiato giornalismo ed essersi arruolato in aviazione, attraversa tutta la rivoluzione culturale americana improvvisandosi critico d’arte, dj, organizzatore di performance artistiche, speaker radiofonico (rifiuterà per fortuna un passaggio radiofonico a un allora sconosciuto Charles Manson con chitarra a tracolla e senza svastica in fronte) decidendo, alla fine degli anni sessanta di diventare scrittore, praticamente prima ancora di avere terminato (cominciato addirittura) il suo primo romanzo: Another Roadside Attraction (Uno zoo lungo la strada, Baldini e Castoldi, 1997). Il libro lì per lì, non vendette granché, era il 1971 e i figli dei fiori – il target ideale per la storia di uno strampalato zoo senza animali (e ve la faccio molto breve) dove viene occultata la salma di Cristo, trafugata dai sotterranei del Vaticano da uno dei protagonisti, infiltratosi come assassino in un monastero di frati nazisti – non dovevano avere troppo feeling con le edizioni cartonate. Il lampo di genio della sua casa editrice però, fu quello di far uscire praticamente in contemporanea anche l’edizione economica. Tom Robbins vendette di colpo qualcosa come 700.000 copie. Quasi ogni figlio dei fiori, a quel punto, ne possedeva una copia. Da allora Tom Robbins ha scritto otto romanzi, un raccolta di articoli, un libro per ragazzi, un paio di vecchissimi Mille Lire pubblicati da Stampa Alternativa negli anni '90 e, ultimamente, la sua stupenda biografia: Tibetan Peach Pie, tradotta finalmente in italiano lo scorso anno da Michele Trionfera per Tlon Edizioni.


Cosa hanno di così particolare i suoi libri? vi chiederete a questo punto. Cos’è che ha sempre spinto folle oceaniche ai suoi reading? Cosa spinge i suoi lettori a tatuarsi non soltanto alcune delle sue frasi, ma addirittura le copertine dei suoi libri: Still Life with Woodpeeker, soprattutto? Beh, Tom Robbins innanzitutto cura in maniera maniacale la musicalità dei suoi periodi, ma a parte questo il suo punto di forza sono le storie. Lui riesce a mischiare il sacro col profano, la filosofia beat con la religione e la controcultura e i suoi personaggi principali sono quasi sempre personaggi femminili, emancipati, liberi e anticonformisti. Così facendo, riesce a scriverne con il distacco necessario per non scadere nell’autobiografico, ma quello che soprattutto traspare al lettore e lo fa innamorare di lui è il suo assoluto rispetto e il suo amore verso l’universo femminile.

Una storia narrata da lui (cito dall’introduzione di Stefano Bollani alla sua biografia) può ispirarsi al disegno del pacchetto delle Camel come ai sette veli che ci separano dalla verità secondo la tradizione Maya; la sua macchina da scrivere (questo potrebbe essere un errore di Bollani, in quanto, per quello che ne so, Tom ha sempre scritto a mano) può occuparsi di un concerto dei Doors come di funghi magici, o di quel chiosco di hot dog dietro al quale si nasconde il corpo mummificato di Gesù Cristo e lui rimane sempre e comunque: lo scrittore più pericoloso del mondo.

I suoi personaggi, per quanto strampalati, psichedelici, assolutamente fuori dalle righe o indigeribili ai cosiddetti benpensanti, come ho avuto recentemente modo di scoprire, non sono poi solo il parto di un’ipercinetica immaginazione, sono tutte sfaccettature reali di uno scrittore assolutamente sincero che non ha mai raccontato nessuna bugia a nessuno dei suoi lettori. Come posso affermare una cosa del genere? Ve lo racconto subito. Mi ero appena procurato una copia di Tibetan Peach Pie, ed ero tornato a casa incazzato, in quanto il commesso di Feltrinelli, ovviamente fan di Robbins anche lui, mi aveva detto che praticamente nessuno si era interessato alla sua biografia e stavano per toglierla dagli scaffali. Tenete presente tra l’altro, che con il fallimento di Baldini e Castoldi e la successiva riapertura i libri di Tom Robbins sono finiti tutti fuori catalogo e noi estimatori da anni ormai ci picchiamo su ebay cercando di dribblare i bagarini che vendono le sue prime edizioni a centinaia e centinaia di euro. Era comunque la notte del mio compleanno e dopo aver smaltito la rabbia con diversi generi di conforto, una volta andate a dormire le mie donne, mi misi a leggere la sua biografia con grande gusto. A metà libro e a metà nottata, in uno stato psichico simile a quello dei suoi personaggi, presi carta e penna e gli scrissi una lettera raccontandogli appunto che era il mio compleanno, che mi stavo divertendo un sacco leggendo quel suo ultimo lavoro e che il 23 (il suo numero magico) mia figlia, a cui leggo già stralci dei suoi libri, avrebbe compiuto tre anni. Proprio per questo mi avrebbe fatto piacere avere una sua foto, per fare in modo che mia figlia potesse crescere conoscendo il volto del creatore di quelle fantastiche storie che spero l’accompagnino negli anni a venire. Ora, Tom Robbins vive a Seattle, ha ottantacinque anni e migliaia di persone gli scrivono in continuazione, ciò nonostante, nemmeno un mese dopo, mi sono visto arrivare una sua lettera. Si è preso la briga di rispondermi il 31 dicembre, augurando felice anno nuovo (in italiano nella lettera) e me e mia figlia e ringraziandomi di leggere i suoi piccoli libri. Ma non solo. Invece di pescare la foto da un qualsiasi press kit, lui mi è andato a cercare una sua immagine in cui, indossando una maglietta dell’Italia stava indicando proprio il numero 23 affisso da qualche parte su un muro. Un gesto che ha confermato, nel caso ce ne fosse stato ancora bisogno, la grandezza non solo del più pericoloso scrittore vivente, ma soprattutto dell’uomo.


Quindi quello che posso consigliarvi dunque è di correre in libreria, in biblioteca, dove volete, e di procurarvi una copia della sua splendida biografia che poi, di fatto, non sembra nemmeno una biografia vera e propria, piuttosto un divertente romanzo scritto in prima persona, e prendere (se proprio non lo conoscete) familiarità con il personaggio. Vedrete che alla fine avrete voglia di mettere le mani su qualcuno dei suoi libri per farvi shakerare le sinapsi in un cocktail esplosivo e lisergico.

Il titolo della biografia, per dovere di cronica, si riferisce a una vecchia storia zen di autore sconosciuto: una sorta di parabola su quanto sia saggio puntare sempre alle stelle, e quanto sia ancora più saggio accettare gioiosamente la sconfitta se si raggiunge solo la luna.

Io una fetta di torta di pesche tibetana l’ho assaggiata, e ho idea che me la ricorderò per sempre.
Rock’n’roll Tom…



patrizio pinna

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