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Femily


Patrizio Pinna

Illustrazione di copertina di Bjorn Giordano




Ad Alba e Claudia, Roberto, Marisa ed Enzo.
Le mie famiglie allargate.





Casa dolce casa



«Cristo santo, questo posto è un porcile» razionalizzò Frank entrando in casa con i sacchetti della spesa.
«Sì, beh…» rispose Emily tirando una boccata da una cicca di spinello trafitta su di un ago per evitare di bruciarsi le dita. «Che vuoi che ti dica?! Ognuno ha quel che si merita.»
«Sì, sì… non ricominciamo con la solita storia. Stai attenta a non darti fuoco piuttosto, passi troppo tempo sdraiata su quel cazzo di letto… poi quante volte te lo devo dire che non sopporto la televisione. Non possiamo spegnerla ogni tanto?»
«Oh, ma sentitelo il filosofo, non sopporta la televisione, lui. Ma levati dai piedi, va… Dimmi piuttosto: cosa hai comprato di buono che sono in chimica?»
«Niente articoli da sbrano, siamo agli sgoccioli.»
«Cioè?! Abbiamo già finito la grana?»
«Cazzo, fumi come una ciminiera, sai quanto costa il nero al giorno d’oggi?»
«Sì, non dare la colpa al fumo, non è colpa mia se il signorino non apprezza il vino nel cartoccio come le persone normali, lui beve solo roba di qualità… Per non parlare dei vestiti.»
«Perché?! Cosa c’entrano i miei vestiti? E poi non mi piace svegliarmi col mal di testa.»
«Oh! Niente cucciolo, è normale spendere cinquecento euro per un paio di scarpe e più di un migliaio per un abito, senza contare quei cazzo di fazzoletti da taschino con cui non ti puoi nemmeno soffiare il naso. Tranquillo, tutti si vestono come Nick Wooster... Comunque se vuoi fare due calcoli, vedi un po’ cosa ci costa di più: se il mio nero o i tuoi vestiti e i tuoi vinelli. Dovevi fare il sommelier, altro che… In tutti i modi, dai, dammi la triste notizia.»
«Meno di duemila.»
«Ci rimangono meno di duemila euro?! Cazzo, cazzo, cazzo…» sbottò alzandosi dal letto. «Non imparerai mai vero? Te l’avevo detto. Dovevamo muoverci prima, ci vuole tempo per trovare una donatrice.»
«Cristo Emily, ne abbiamo già parlato: non se ne parla.»
«Cazzo Frank, sei una spina nel culo… Perché non dovrebbe andar bene, ce ne siamo già fatte un paio...»
«Ehi, pesa bene le parole, te ne sei già fatta un paio, io mi ci sono solo trovato nel mezzo da perfetto coglione. Non è la stessa cosa.»
«Non importa cucciolo, sai perfettamente che non abbiamo altre opzioni. Poi sarà divertente, giocherai a fare il papà per un paio d’ore, mica tutti se lo possono permettere.»
«Non capisco come diavolo abbia fatto a innamorarmi di te, sei di un cinismo bestiale.»
«Innamorato?! Ma quando mai? Tu non sei innamorato proprio di nessuno, dei tuoi vini magari, quelli sì che ti fanno sentire una persona diversa, ti piace specchiarti in etichette sofisticate sognando la vita che avresti potuto vivere se avessi avuto la fortuna di nascere in una famiglia normale o le palle per cambiare le sorti del tuo destino. Ma sei un perdente, proprio come me, solo questo ci unisce. Questo e il sesso probabilmente.»
«Sentitela la psicologa, non sapevo che ti fossi laureata.»
«Ci sono arrivata più vicina di te, questo è poco ma sicuro» disse sfilandosi la canottiera. «Poi non serve una psicologa per capire che se da una parte, dentro quel cazzo di Armani, fai la tua porca figura, dall’altra non sei assolutamente credibile con i sacchetti della Basko in mano. Questa è Genova, mica Los Angeles. Ora vieni qui e fa il tuo dovere, ho bisogno di rilassarmi.»
Aveva ragione, pensò Frank contemplando i sacchetti verdi e rossi, ma aveva qualche riserva sul resto. Era un coglione, su questo non c’erano dubbi, nessuno avrebbe mai accettato passivamente un’esistenza del genere e probabilmente non era nemmeno mai stato innamorato di lei, anzi, ma non era un fallito. Aveva solo perso la rotta, alla deriva in un turbinio di passione che poco a poco si era trasformata in delirio e successivamente in abitudine. E il tempo, si sa, non stava ad aspettare nessuno.
Era arrivato il momento di tirare le somme, lo sapeva perfettamente, ma il sesso continuava a spingerlo alla deriva.
Emily era la ragazza più bella e sensuale su cui Frank avesse mai messo gli occhi addosso e i loro continui battibecchi erano il carburante ideale.


La dolce vita



«Sei un coglione totale Frank, lo sai questo vero? Ma sai anche sbattermelo dentro, te lo concedo, è l’unico motivo per cui ancora ti sopporto.»
«Sì, sì...» rispose riempiendosi un bicchiere di un Brunello di Montalcino del 2007. L’ultima bottiglia decente prima di rimettersi al lavoro. «Sai che complimento detto da una che viene anche facendosi il bidè.»
«Questo molti uomini lo considererebbero un pregio.»
«Altri un lavoro a tempo pieno.»
«Cucciolo ti ho stancato. OK, allora stasera ti porto a mangiare fuori e ci diamo alla pazza gioia…»
«Pazza gioia?!»
«Certo, te lo sei meritato. Che poi si ricomincia.»
La serata prometteva bene. Darsi alla pazza gioia non significava esattamente quello che avrebbe immaginato una coppia normale, ma questo alla fine non voleva dire granché.
Cos’era poi la normalità?
«Come mi vorresti vestita?»
«Quell’Armani grigio petrolio con la scollatura vertiginosa sulla schiena, perizoma e reggiseno neri, ballerine Chanel bicolore e impermeabile Allegri: da uomo.»
Emily lo avrebbe contraddetto in qualche modo, questione di principio, ma non avrebbe osato discutere sull’abito. Era la sua serata quella.
«Meglio senza reggiseno.»
Perfetto, pensò Frank.
«Dove vorresti mangiare?»
«Non saprei, sta diventando sempre più difficile trovare un ristorante decente, li abbiamo battuti quasi tutti…»
«Già, non ce ne rimangono molti» constatò, «ma anche un bar alla moda potrebbe andare» disse, anche se la scelta della location toccava a lei.
«Non voglio ragazzini intorno, finisce che si mettono nel mezzo e si fanno male.»
«Sì, hai ragione.»
«Quel bar di fighetti subito dietro via Roma potrebbe andar bene, ha delle vetrate niente male.»
«Perché no? Dev’essere pieno di gente del cazzo.»
«Andata allora…»
Come da copione Frank entrò per primo si sedette a un lato del bancone incurante degli sguardi che si posarono su di lui. Sfoggiava con nonchalance un paio di Church’s scamosciate con la suola in gomma, un Cantarelli gessato a tre bottoni blu scuro e un cover coat irlandese Magee con colletto in velluto. Ordinò una Grey Goose doppia, senza ghiaccio, che mandò giù a vetro senza nemmeno riempirsi il piatto al buffet che al contrario di altri bar sembra invitante, dopodiché ordinò un secondo giro. L’alcool, oltre che a scioglierlo un poco, serviva anche ad anestetizzarlo visto che le cose non sempre filavano per il verso giusto. Non era una gara, non si trattava di vincere o perdere, l’importante era essere presenti. In attesa di un’esplosione di adrenalina. Pronti al divertimento.
Emily entrò spalancando la porta come se tutto il palazzo fosse il suo, non solo il bar, e dritta come un fuso si sedette sullo sgabello al centro del bancone. Frank tenne lo sguardo fisso sulla vodka, anche se ai lati del campo visivo poteva vederla sfilarsi piano l’impermeabile. Il brusio si attenuò di colpo, tutti gli sguardi erano concentrati sulla sua schiena. L’Armani le scivolava dalle spalle fino all’elastico del perizoma lasciando intravedere il punto in cui il seno nasceva, il punto in cui Frank avrebbe voluto essere seppellito, se il seno di una donna avesse potuto accogliere le sue spoglie.
Emily ordinò una tequila, annoiata come se stesse aspettando il proprio turno dal dentista e come se nulla di quello che stava succedendo all’interno del locale la potesse interessare.
Semplicemente attendeva.
Frank pensò che si divertisse alle sue spalle comportandosi da snob. Gliel’aveva detto centinaia di volte, il suo atteggiamento spaventava la maggior parte dei predatori che preferivano evitare il rifiuto restandosene seduti a sbavare, mentre lui aspettava – ansioso e arrapato – con la vodka in mano. Più di una volta dovette cominciare a ballare ormai ubriaco. E questo non giovava al lavoro del suo dentista.
Alla terza Grey Goose doppia finalmente un fighetto in giacca e cravatta si avvicinò. Il poveraccio cercò di offrirle da bere sfoggiando un repertorio triste come un venditore di enciclopedie. Impaziente Frank si sgranchì la cervicale posando il bicchiere sul bancone. Per fortuna prima di alzarsi dallo sgabello intravide il segnale di Emily che, con i piedi incrociati poggiati sulla barra d’ottone che percorreva il bancone del bar in tutta la sua lunghezza, lo incitava alla calma.
Non era lui l’eletto.
Il poveraccio venne diplomaticamente liquidato e se ne tornò al suo tavolo, contento in qualche modo d’aver trovato il coraggio per provarci.
Frank diede uno sguardo alla sala, il poveraccio non aveva fatto in tempo a sedersi che i suoi amici cominciarono a prendersi gioco di lui.
Qualcosa si stava muovendo.
Anche Emily doveva essersi fatta il quadro della situazione nello specchio del bar davanti al quale riposava la multicolore distesa di superalcolici.
Si voltò, poggiando i gomiti sul bancone, puntando lo sguardo verso il più antipatico dei quattro.
Assicuratori, pensò Frank, visti gli abiti dozzinali con cui andavano in giro. Si dovevano essere intrattenuti per un aperitivo svogliato, più per dovere che altro. Questo giocava a suo favore. In pochi si sarebbero messi nel mezzo.
Il poveraccio a cui Emily diede la grazia sembrava un bravo cristo, sano, cresciuto facendo sport, il cui vecchio, magari, doveva averlo infilato in un ufficio una volta ritenuto fosse arrivato il momento giusto. Non doveva timbrare il cartellino da molto, i suoi movimenti erano rigidi dentro il completo grigio fumo di ordinanza e la cravatta lo impiccava rendendone goffa l’andatura, come se a ogni passo rischiasse di soffocare. Possedeva due occhi profondi e intelligenti, con quella punta di delusione che rende gli uomini più interessanti. Il tipo che lo stava sfottendo, invece, non doveva aver mai praticato nessuna disciplina in vita sua. Il massimo esercizio fisico a cui doveva essersi sottoposto regolarmente doveva essere la masturbazione. Per questo godeva senza vergogna dei fallimenti altrui e cercava riscatto a una triste infanzia trattando male i suoi dipendenti.
Indossava vestiti più costosi degli altri, seppur roba di scarsa qualità, e trattava i suoi colleghi dall’alto in basso sebbene fossero tutti più giovani e distinti di uno che non si vergognava a girare con i capelli unti e la spocchia classica di chi si sente superiore.
Era lui l’eletto.
Emily lo sapeva, per questo lo stava fissando.
I suoi compagni se ne accorsero, ma fecero finta di niente. Almeno fino a quando questo non divenne palese.
A quel punto il bastardo si sentì come se avesse in mano il biglietto vincente della lotteria di capodanno.
Solo che avrebbe incassato tutt’altro tipo di ricompensa.
Finalmente si avvicinò al bancone – a Frank parve di dover attendere un’eternità – e disse qualcosa che non riuscì cogliere. I sensi gli si affievolivano in momenti del genere, sopraffatti dall’endorfine e dall’adrenalina.
Frank osservò il tipo chiacchierare in modo antipatico, più che concentrare l’attenzione su Emily continuava a voltarsi verso i suoi colleghi a scrutarne le reazioni. Non gli interessava trovarsi davanti a una donna stupenda, con un fisico mozzafiato e un seno stupendo che sfidava la forza di gravita sotto uno straccio da tremila euro. Non gli interessava perdersi nella profondità di due splendidi occhi verdi capaci di provocarti un orgasmo senza nemmeno toccartelo… All’imbecille importava solo vedere come reagivano i suoi dipendenti. Non aveva ancora capito che non avrebbe fatto una bella figura.
Emily allargò le gambe lasciandole penzolare ai lati del bancone.
Il segnale.
Frank si alzò con calma, barcollante per non sembrare pericoloso e chiese gentilmente al tipo di farsi da parte.
Il vigliacco stava quasi per indietreggiare. Frank capì di non poter recitare tutto il copione, le probabilità di finire in bianco erano troppo alte, per cui non appena il tipo provò a controbattere balbettando qualcosa che nemmeno Emily riuscì a cogliere, partì col destro. Non caricò troppo, non voleva mandarlo al tappeto subito, ma nemmeno poteva schiaffeggiarlo come un donna.
Mirò allo zigomo cercando di non rompergli il naso.
Non subito perlomeno.
Il tipo si accasciò tirandosi dietro un paio di sgabelli e nel cadere afferrò l’Armani di Emily strappandone un lembo.
Frank non ci vide più. Senza riserve, dunque, gli fece assaggiare la suola delle Church’s in piena bocca. Dopodiché, visto che nessuno sembrava voler intromettersi, lo sollevò prendendolo per la cintura e lo scagliò oltre l’immensa vetrata, direttamente in via San Sebastiano.
Il vetro esplose in un affascinante fuoco d’artificio.
L’otto settembre personale di Frank. Solo più breve.
Trenta secondi, un minuto al massimo, e tutto era finito. I tempi erano cambiati, non c’erano più le risse di una volta, nessuno si metteva più in mezzo. Nessuno rischiava più nulla.
Non stupiva che i suoi colleghi non avessero mosso un dito, loro lo conoscevano, sapevano di che pasta era fatto e quello che si meritava, ma gli altri?
C’erano almeno cinquanta persone al bar quella sera e molte di loro non avrebbero avuto grossi problemi a stendere uno come Frank.
«Vieni via con me bellezza» disse, prendendole le mani e baciandola con trasporto. Era così arrapato che se la sarebbe chiavata sul bancone. Per il momento erano tutti ancora così basiti che nessuno aveva avuto l’idea di chiamare gli sbirri, ma non appena Frank avesse finito di leccare il piercing sulla lingua di Emily tutti quanti avrebbero tirato fuori i cellulari.
Evaporarono mano nella mano, oltre vetrata distrutta. L’assicuratore era ancora a terra che piagnucolava qualcosa e sanguinava copiosamente dal naso. I suoi colleghi, incollati alle sedie, sorridevano.
Non fecero in tempo ad arrivare a Piccapietra che l’erezione di Frank svanì. Certo non avrebbe avuto problemi una volta rientrato, non aveva mai avuto problemi, ma un tempo se la sarebbe portata a casa e ci sarebbe andato avanti tutta la notte.
«Stiamo invecchiando» disse.
«Cucciolo» disse lei cingendogli le spalle con un braccio, «non ti sei divertito?»
«Non è più come una volta.»
Emily tacque.
Facevano questa vita da qualche anno: due equilibristi sul filo, a metà strada tra la malavita e la società. Prima o poi sarebbero caduti da qualche parte, lo sapevano, ma scegliere autonomamente avrebbe implicato responsabilità che nessuno dei due era in grado di sopportare. Per questo tutto era ancora delegato al fato. Non erano saggi, non era un segreto per nessuno, erano solo un paio di mammiferi impulsivi, svogliati e terribilmente annoiati.
Ma di un’altra classe.
Due pezzi di merda, certo, ma confezionati alla grande.


L’inizio della fine



Frank non si era mai avvicinato al mondo dei sequestri lampo prima di conoscere Emily, e a dir la verità non ci si sarebbe mai avvicinato razionalmente. Ai tempi era un semplice truffatore di medio livello, che poteva far credere a ricchi industriali o figli di papà carichi di grana di poter saltare noiose liste d’attesa per l’acquisto di alcune delle super car più costose al mondo, in particolare la Bugatti Veyron o la Pagani Zonda. A dir la verità non sempre Frank poteva permettersi lavori del genere, spesso per mettere le mani sul sette percento del valore di mercato di macchine così costose, doveva investire quasi altrettanto per rendersi credibile. Non metteva da parte nulla, ma il suo lavoro gli consentiva di vivere alla grande in un mondo che altrimenti gli sarebbe stato precluso. Quando poi doveva andare in letargo, quello che in gergo significava sparire, non disdegnava i lavoretti di poco conto, come i passaporti o i Rolex.
A far gli schizzinosi era facile bruciarsi.
Non aveva mai fatto il passo più lungo della gamba e soprattutto non aveva mai fregato nessuno che non se lo potesse ampiamente permettere. Aveva avuto modo di conoscere alcuni dei più grandi del giro e questi in un certo qual modo gli portavano rispetto; apprezzavano il fatto che non smaniasse per superare le proprie capacità. Pascolava tranquillo nel suo orticello, solitario come un passero, e se doveva scavalcare qualche steccato per arrivare a destinazione non si muoveva mai senza chiedere permesso. Ai tempi non apprezzava nemmeno menar le mani. La passione per le scazzottate la scoprì in seguito.
Uscì dal giro quando incontrò Emily. Iniziò con lei ad accendere micce nei bar. Non c’entrava la rabbia o l’equilibrio, nulla di tutto ciò: con lei si trattava sempre e solo di sesso.
Si incontrarono sei anni prima al Casinò di Montecarlo, Emily stava seduta al tavolo del Black Jack e non sembrava passarsela molto bene, sebbene stesse contando le carte. Stava aspettando l’occasione per far saltare il banco. Frank era riuscito ad agganciare Alain Brunet, responsabile della sicurezza ai tavoli che, finanziando un paio di abili giocatori, negli anni, aveva alleggerito il suo datore di lavoro di una bella sommetta che voleva convertire in una Aston Martin Vanquish solo perché l’aveva vista in un film di James Bond.
Un coglione che Frank anelava truffare.
Anche se per due lire.
Alain gli indicò Emily come un problema che avrebbe dovuto risolvere prima di parlare d’affari e Frank, vista la sensualità che il suo problema emanava – anche se Alain sembrava esserne immune – si offrì di aiutarlo senza far troppo rumore. Alain ne fu ben felice visto che, come ebbe modo di scoprire più tardi, i suoi ragazzi erano al lavoro e preferiva non fare troppo rumore.
Frank si mosse verso il Black Jack sicuro dentro un paio di Edward Green nere, fasciato da un Brioni a tre bottoni grigio chiaro sopra a una maglietta James Pearce nera che gli era quasi costata più del vestito.
A Las Vegas solo un cieco avrebbe potuto scambiarlo per uno della sicurezza, ma a Montecarlo tutto era possibile. La gente coi soldi, lì, non era costretta a vestirsi bene: i poveracci, sì.
Frank era giovane e ragionava in fretta, per questo avvicinandosi a Emily riconobbe subito lo Scuro, uno specialista in carte di credito, seduto al tavolo dei dadi. Craps, come lo chiamano i francesi. Quindi tornò prontamente sui suoi passi.
«Non posso presentarmi così Alain, devi prestarmi il tuo badge.»
Alain, titubante, lo informò di poter perdere il posto in quattro e quattr’otto se qualcuno se ne fosse accorto, ma il suo ragionamento non faceva una piega. Senza contare che non lo avrebbe perso di vista nemmeno per un momento.
Frank prese il badge e se lo applicò al taschino della giacca, dopodiché gli diede le spalle e mosse verso il Black Jack mentre lo Scuro si alzò dopo aver notato il suo invito. Sbatterono quasi uno contro l’altro e il badge passò di mano.
«Riesci in cinque minuti?» chiese senza salutarlo. I truffatori di un certo livello non lo facevano mai, era una delle prime regole da imparare.
«Sono anche troppi» replicò senza quasi muovere le labbra e, soprattutto, senza guardarlo. Poi si diresse verso la toilette con la sua inseparabile ventiquattrore.
Frank si sedette accanto a Emily, stando bene attento a mostrarsi sempre di spalle ad Alain.
«Saresti disposta a fidarti di uno sconosciuto?»
Emily lo squadrò dalla testa ai piedi.
«Belle scarpe» disse, poi tornò contare le carte: un’impresa per niente facile, visto che il croupier utilizzava sei mazzi.
«Ascoltami, ti hanno scoperta e stai per essere cacciata in malo modo, ma se fai come dico io possiamo ancora guadagnarci qualcosa.»
«Sentiamo» disse senza togliere gli occhi dalle carte.
«Dobbiamo discutere animatamente per un paio di minuti, dopodiché dovrai mostrarti offesa, dammi uno schiaffo magari, quello che vuoi, l’importante è che tu non mi costringa a voltarmi.»
«Perché?» sussurrò sempre senza degnarlo di uno sguardo.
«Perché qualcuno in bagno sta clonando il badge del capo della sicurezza che ho avuto in prestito per poterti cacciare fuori e il padrone del badge ha gli occhi incollati sul mio culo.»
A questo punto Emily si girò vero di lui e per la prima volta Frank si perse nei suoi occhi verdi, armati di una potenza sessuale devastante.
Gli venne duro.
«Avrà gli occhi incollati sul mio culo, vorrai dire.»
«Non darti troppe arie piccola, ne ho visti di più belli.»
«Ah sì?!» disse lei rigirandosi il brillante che aveva al dito verso il palmo della mano.
Frank riuscì a malapena a razionalizzare che la cosa si stava mettendo male quando la stronza gli mollò un manrovescio talmente forte che lo fece quasi cadere dallo sgabello.
Dovette usare tutto il suo self control per evitare di spaccarle il naso, anche se si ripromise di farlo più tardi.
In separata sede.
«Ti avevo chiesto due minuti» disse sottovoce, mentre tutto il casinò tratteneva il respiro in attesa degli sviluppi.
«Beh, non sono mica andata via» disse lei portandosi alla bocca il brillante sporco di sangue.
Dopodiché lo tirò a sé e lo baciò come se volesse scoparselo sul panno verde. Tutto divenne sfocato, in un attimo non esisteva più Alain, né il badge, né lo Scuro nella toilette… niente di niente. Tutto riposava nell’ombra, esisteva solo lui, Emily, il suo piercing sulla lingua e la sua fottuta voglia di scoparla.
Subito.
Frank rischiò un’embolia quando le loro labbra si separarono ed Emily, ansimante, gli chiese quanto tempo restava.
La stronza gli aveva mandato la materia grigia in gelatina in meno di due minuti. L’ultima volta che aveva provato una sensazione simile doveva avere diciannove anni.
Per fortuna intravide lo Scuro muovere piano verso di loro.
«OK» disse, «conta fino a dieci, poi fai un po’ di casino, possibilmente senza buttarmi giù i denti.»
«Uno… due… tre…» sussurrò. «Sto al Columbus, delicatino che non sei altro. Ma forse non sei uomo abbastanza per quello che avrei in mente per te…» poi cominciò a gridare: «Sei solo un porco schifoso, e maledico il giorno che ti ho incontrato…» prima di cercare di mandarlo al tappeto.
Frank questa volta le fermò la mano e partì a sua volta.
Istintivamente.
Per fortuna lo Scuro lo bloccò in tempo, trattenendolo mentre Emily lasciava la sala.
«Attento amico, donne come quella ci si fanno un frappè col tuo sistema nervoso» disse attaccandogli il badge alla giacca senza farsi notare, visto che l’attenzione generale era focalizzata sul fondoschiena di Emily. «Ma è pur vero che capitano una volta sola nella vita. Quando capitano» concluse rassettandogli il Brioni, lasciandogli scivolare qualcosa in tasca prima di andarsene.
Frank tirò un respiro profondo, cercando di non pensare all’erezione che cercava di annientarlo nella volontà e staccò prontamente il badge, nascondendolo, prima che il croupier si girasse verso di lui. Allargò le braccia, per scusarmi con i clienti e in una manciata di secondi tutto tornò alla normalità.
Emily se n’era andata, così il loro interesse nei suoi confronti.
Mosse verso il bar e ordinò un Black Russian tamponando la ferita sulla guancia con un fazzoletto da taschino Hermes da duecento euro.
Alain gli si avvicinò con nonchalance.
«Caspita che peperino» disse, riprendendo possesso del badge all’ombra del bancone.
Frank annuì, senza nessuna voglia di continuare la conversazione. Lanciò una banconota da venti sul bancone e vuotò il vetro senza prender fiato. Non era dell’umore per continuare a parlare di macchine, non dopo quello che era appena successo. Per fortuna Alain non insistette e lo lasciò andare, convinto che si sarebbe fatto vivo il giorno seguente per discutere i dettagli.
Prima di uscire Frank si fermò alle casse per cambiare le tre fiches da cinquemila euro che lo Scuro gli aveva fatto scivolare in tasca.
Non era molto, ma erano più che sufficienti per dieci minuti di lavoro. Senza contare il rispetto che si era appena guadagnato e che ovviamente non aveva prezzo.


Samarcanda



Per quanto Frank bramasse correre al Columbus, non lo fece. Si allontanò dal casinò cercando di riacquistare un minimo di controllo dietro a un altro Black Russian. Non sarebbe stato in grado di gestire la situazione come avrebbe voluto, non così, a freddo, e sapeva benissimo che donne come quella avrebbero potuto far sprofondare nel baratro qualsiasi uomo. L’indomani, pensò, avrebbe potuto gestire la situazione più obbiettivamente.
Niente di più sbagliato.
Cercò di starsene tranquillo al piano superiore di un disco bar in Princesse Grace. Contemplava tutta quella gioventù che si dimenava tra i tavoli – visto che non esisteva una vera e propria pista da ballo – allegra, alterata, benvestita e tutta schifosamente in forma.
Certo anche lui non se la passava male, riflesso nel mosaico di specchi con cui era tappezzato il locale sembrava un cazzo di dandy decadente: vestito di tutto punto con un Hermes da taschino sporco di sangue, il volto ferito, l’immancabile Black Russian in mano e quindicimila inaspettati euro nelle sue tasche. In contanti.
Il mondo era nelle sue mani.
Tutto sarebbe cambiato se fosse entrato in quella camera d’albergo.
E lo sapeva.
Purtroppo furono gli eventi a prendersi gioco di lui, demolendo in fretta le sue intenzioni.
Ubriaco – al terzo Black Russian – stava centellinando il contenuto del bicchiere cercando di rimandare l’uscita dal locale non appena avesse potuto contare su di un’andatura più stabile, quando, sulle note di un successo degli anni ottanta targato Alphaville, vide crearsi una sorta di buco nero tra la folla al piano di sotto. Una ragazza ci stava ballando dentro come se non esistesse nessuno all’infuori di lei. Non ballava per il pubblico, ma per esorcizzare il demone che portava dentro. Una baccante, una menade che si stava offrendo a Dioniso in tutta la sua sensualità. La folla estasiata – in cerchio – le offriva spazio e protezione. Nessuno, per quanto rapito, osava invadere la traiettoria di un simile sacrificio.  
Il tempo smise di scorrere.
Frank cominciò a sudare, per quanto non facesse particolarmente caldo quella sera.
L’aveva riconosciuta.
La stronza avrebbe dovuto chiudersi in albergo ad attenderlo, almeno questo era il messaggio che aveva recepito, mentre invece se ne stava al centro della pista, come se niente fosse, caricando l’atmosfera di elettricità. Era l’embrione di una tempesta quello che Frank stava ammirando danzare trasformando in sale coloro che osavano sfidare il suo sguardo. Una tempesta che si sarebbe scatenata sulla sua vita, se non fosse sparito il più velocemente possibile.
Chiese al barista di poter pagare direttamente, per evitare di soffermarsi alla cassa, troppo vicina al campo gravitazionale dal quale intuiva di dover fuggire. Per quanto combattuto.
Tutti i luoghi comuni sulla brevità dell’esistenza gli rimbalzavano in testa, alimentati dalla vodka. Se passare la mano poteva sembrar saggio da una parte, dall’altra alcuni l’avrebbero sicuramente trovato stupido.
L’impasse.
Fu il barista a decidere per lui quando gli servì il resto assieme a un biglietto da visita del locale. Frank ripose i soldi nella tasca dei pantaloni senza contarli e si rigirò il biglietto da visita un paio di volte tra le dita tastandone la consistenza. Poi gli diede una rapida occhiata, giusto per cortesia. Scrutando il bristol ocra stampato in quadricromia, Frank ebbe un sussulto: Samarcanda Lounge…
Tutti i suoi buoni propositi finirono nel cesso.
Non era colpa sua, o dell’alcool…
Era il destino.


Questi sono i primi capitoli di FEMILY, è possibile scaricare il file per intero dai seguenti link:







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