Tom Wolfe & Byung-Chul Han

Cos’hanno in comune Tom Wolfe e Byung-Chul Han? Tecnicamente non molto, il primo è un famosissimo scrittore, giornalista, saggista e critico, noto ai più per i suoi: Il Falò delle Vanità e Radical Chic.  Il secondo è un filosofo sudcoreano che vive e insegna a Berlino e che ha pubblicato molti saggi alcuni dei quali tradotti anche in Italia. Non so se i due si conoscano personalmente, non credo, ma entrambi hanno scritto un paio di libri (di saggi a dire la verità) che insieme spiegano molto bene lo stato attuale delle cose. Se spesso vi siete domandati come mai l’essere umano, allo stato attuale, sembri essere ormai così privo di dignità, valori, insofferente e talmente disinformato e stupido da attribuire la causa del proprio disagio a chi sta peggio di lui; come mai si sottometta a lavori inebetenti, svendendo i propri diritti, regalandoli addirittura, in cambio di una parvenza di sicurezza; come mai consenta a una classe politica di fare tutto ciò che vuole senza vergogna, accettando di buon grado ogni promessa palesemente mendace, beh, ci sono un paio di libri dei suddetti autori che spiegano magnificamente la situazione attuale.
Non mi starò a soffermare sulle biografie degli autori, posso capire che qualcuno magari non conosca Byung-Chu Han, è possibile, più difficile, invece, che qualcuno non conosca Tom Wolfe (che purtroppo ci ha lasciati pochi giorni fa, quando queste righe erano già state scritte) e la sua influenza e la sua portata. 
In tutti i modi Tom Wolfe, nel 1976, scrisse un saggio per la New York Review, coniando una di quelle sue solite espressioni ormai perfettamente metabolizzate nell’immaginario collettivo, come radical chic, statusphere, the right stuff o good ol' boy.
Sto parlando di:  the Me decade - Il decennio dell’Io.



In questo piccolo libretto di una novantina di pagine, edito da Castelvecchi nel 2013 e tradotto da Marco Saracini, per l’esorbitante cifra di 9 euro, Tom Wolfe ci spiega cosa successe, nel dopoguerra in America, quando la gente normale, a causa del boom economico prodotto dall’industria bellica che aveva pompato soldi dappertutto, scoprì il proprio Io e se ne innamorò. I privilegi dell’aristocrazia, dunque, si espansero fino a raggiungere le persone comuni che cominciarono a interessarsi della propria immagine, delle proprie ambizioni: del proprio Io, appunto.

…  nella città di Compton, California, è possibile per una famiglia di quattro persone del più basso livello sociale, noto in America come «on welfare» derivare un reddito di ottomila dollari l’anno esclusivamente da fonti pubbliche. Questo è più di quanto guadagnavano il columnist inglesi e i capi operai italiani…

Di colpo il proletariato smise di essere tale (fatta eccezione per i disoccupati cronici dei ghetti) e coloro che prima ne facevano parte nuotarono verso la riva invece che seguire la corrente di quel fiume in cui erano nati, nelle cui acque i loro avi si erano sfiancati per cercare di dare ai figli la possibilità di nuotare più agiatamente a favore dei futuri nipoti e così via. Semplicemente se ne fecero fuori. In poche parole, nonostante la palese differenza di categoria, Kerouac cominciò a prendere a calci in culo Steinbeck.

Passa il tempo, il decennio dell’Io si espande fino a giorni nostri, la coscienza di classe, se mai esistita, svanisce (di fatto l’ha sempre e solo avuta l’aristocrazia) mentre il progresso e la tecnologia forniscono un illusorio senso di benessere grazie al quale il superfluo è a disposizione di tutti al contrario della prima necessità, basti pensare che ormai si può volare a Londra, per esempio, con lo stesso prezzo del libro sopracitato mentre ne serve quasi la metà per un chilo di pane.



Ed è qui che entra in gioco Byung-Chul Han con un suo saggio intitolato Nello sciame - Visioni del digitale, edito da Figure Nottetempo nel 2013 e tradotto da Federica Buongiorno (ma andrebbe bene comunque qualsiasi dei suoi saggi, visto che i filosofi, si sa, alla fine si ripetono sempre un po’) che con parole semplici, alla portata di tutti, non come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi, in poco più di cinque pagine risponde alla domanda che molti si pongono in continuazione, non riuscendo a capire in nessun modo come siamo potuti arrivare a questa più completa e globalizzata perdita di umanità e dignità.
Ok, se il mondo vi sembra un posto bellissimo, se pensate che tutto vada per il verso giusto e siete contenti del vostro orticello, beh, probabilmente siete degli idioti, ma in tutti i modi non credo che, nel caso, stareste a perdere tempo leggendo. Impieghereste il vostro tempo da idioti e le vostre competenze idiote in altrettanto idioti intrattenimenti. Mentre se percepite costantemente la dissonanza nella colonna sonora che dovrebbe accompagnare l’esistenza del capolavoro umano, beh, Byung-Chul Han ci viene in aiuto fotografando e spiegando, in un attimo, la situazione attuale:

Letteralmente rispettare significa distogliere lo sguardo. È un riguardo.

Questo è l’inizio del suo saggio e grazie al quale, analizzando semanticamente il significato di una semplice parola, il cui significato diamo tutti per scontato, e riportando questo significato allo stato attuale delle cose, ci spiega come questo rispetto ormai sia completamente venuto meno. E continua, senza anticiparvi troppo, andando a sviscerare i meccanismi malati di questo panottico digitale e sociale dentro al quale ormai tutti ci muoviamo. Spiegando in termini sì comprensibili ma non banali come il medium digitale che ormai domina la nostra esistenza contribuisca al degrado comune illudendoci del contrario.

Senza addentarmi troppo nei relativi contenuti, entrambi i libri (che si leggono in poco più di un’ora) mi sono subito apparsi complementari perché narrano i meccanismi celati dietro l’assurdità alla quale siamo sempre più abituati. Perlomeno il meccanismi dell’età contemporanea. Tom Wolfe narra gli esordi, Byung-Chul Han sviscera la situazione attuale, dal neoliberismo alla rivoluzione digitale.
Certo esistono una miriade di altre pubblicazioni, anche più esaustive sull’argomento, ma nessuna, che io sappia, che lo faccia più semplicemente e velocemente. Un ottimo punto di partenza, a mio avviso, per realizzare quanto i nostri click di mouse sul quel cazzo di tastino mi piace, per esempio, contribuiscano, inevitabilmente, al nostro degrado.



patrizio pinna

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