Castaneda, uno splendido imbroglione


Quando si parla di Castaneda mi tornano sempre in mente i Pink Floyd, forse non hanno molte cose in comune, ma i pivelli di mezzo mondo ne hanno avuto bisogno durante i primi cannoni. Se c’è qualcuno che ai primi sballi non s’è ascoltato tutto Ummagumma in cuffia, si faccia avanti. Quello che mi verrebbe da pensare adesso è: che palle… Ovviamente sono cresciuto e i Pink Floyd li porto nel cuore, come tutte le storie, anche quelle finite male, ma sono andato oltre scoprendo nuove realtà. Ho capito che la musica creata da architetti non mi soddisfa. Non anelo più le sonorità stabili, con fondamenta ben strutturate, mura resistenti e tetti a prova di bomba… Ora preferisco mettermi in gioco tra le sabbie mobili di un cambio zappiano o nelle dissonanze jazzistiche di un assolo bop, di quelli che ti conducono in alto, sempre più in alto, a rimandare il più possibile l’inevitabile orgasmo della risoluzione. Forse è a causa questo cambiamento che non me la sento più di difendere Castaneda a spada tratta come un tempo. Questo non vuol dire che abbia smesso solo un attimo di amarlo, semplicemente adesso posso permettermi d’essere più obbiettivo.

Castaneda era un giovane studente dell’Università di California, interessato a raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indiani della zona. Durante uno dei suoi viaggi di ricerca nel Sud-Ovest del paese conobbe un vecchio indiano che doveva sapere molte cose sulle piante, in particolar modo sul Peyote e dopo un’amicizia durata più di un anno riuscì a diventare suo allievo.

Don Juan Matus era uno stregone della tribù Yaqui che ha sua volta aveva ricevuto un’istruzione simile a quella che stava per tramandare al suo nuovo allievo. Castaneda però non divenne famoso per il potere acquisito dagli insegnamenti di Don Juan, ma grazie alla pubblicazione dei resoconti dettagliati del proprio noviziato. Resoconti che si sono trasformati in più di dieci pubblicazioni che sono sempre stato oggetto di numerose diatribe.

Il primo di questi libri, intitolato A Scuola dallo Stregone (The Teaching of Don Juan - 1968) fu pubblicato dalla Ballantine Books dopo essere apparso nel 1968 come pubblicazione scientifica dell’Università di Los Angeles. Questo forse fu l’errore più grande dell’autore: il voler far passare come una pubblicazione scientifica quello che alla fine non era altro che uno splendido romanzo. Forse questa era l’unica possibilità per vedere pubblicato il proprio lavoro, forse un errore di valutazione, perché se è vero che A Scuola dallo Stregone vendette qualcosa come 300.000 copie nei primi tre anni, consacrando Castaneda al grande pubblico, è anche vero che l’autore non poté godersi appieno i frutti del suo lavoro. Castaneda, infatti, si nascose accuratamente per tutta la vita, evitando il contatto non solo con i propri lettori, ma anche con molti illustri personaggi che avrebbero voluto incontrarlo.


I libri successivi: Una Realtà Separata (A Separate Reality – 1971) e Viaggio a Ixtlan (Journey to Ixtlan – 1972), che contenevano il seguito delle memorie del suo apprendistato, iniziarono a fomentare i dubbi dei lettori più attenti. L’insegnamento a cui Castaneda si sottoponeva avveniva durante viaggi psichedelici effettuati fumando una mistura di erbe e funghi allucinogeni. Castaneda descrisse più o meno una ventina di tali viaggi, ma dopo i primi due libri affermò che i trip migliori lui e Don Juan li avevano avuti senza l’utilizzo di droghe, solo che questo era passato in secondo piano nei primi due libri perché le esperienze che aveva avuto erano state così singolari da oscurare il resto. I lettori più attenti nel frattempo si accorsero però che il primo libro era scritto in un inglese scolastico, mentre nel secondo erano presenti molte espressioni gergali americane. Il terzo era di nuovo scritto come il primo. A questo punto le esperienze di Castaneda vennero collegate con quelle descritte da Robert Gordon Wasson, un banchiere newyorkese che nel 1953 assieme alla moglie Valentina (medico e studiosa di micologia) intraprese delle ricerche etnobotaniche nelle regioni montane a sud del Messico. Nello sperduto villaggio di Huautla de Jimenez, il 29 giugno 1955, Wasson fu il primo occidentale a prendere parte a una cerimonia sacra a base di funghi psilocibinici sotto la guida della curandera mazateca Maria Sabina. Il resoconto di quest’esperienza fu pubblicato dalla rivista Life nel 1957 e in seguito, con maggiori dettagli, nel secondo volume della monumentale opera Mushrooms, Russia and History firmata, appunto, dai coniugi Wasson. Quest’opera però era completamente sconosciuta al grande pubblico in quanto pubblicata, ai tempi, in soli cinquecentododici esemplari. Come poteva quindi Castaneda aver accesso a un libro del genere? Semplice, una copia del libro in questione era reperibile presso la biblioteca dell’Università. Secondo Richard De Mille, autore di due libri tesi a demolire la credibilità di Castaneda, quest’ultimo avrebbe fatto proprie le esperienze di Wasson con tanto di refusi: infatti Castaneda descrisse determinate esperienze presenti nel libro di Wasson, ma che l’autore, successivamente alla pubblicazione, smentì. Wasson infatti raccontò che gli Indios fumavano una mistura di Peyote e di un fungo chiamato Nanactal, così come Castaneda raccontò di aver fatto, ma questo era un errore, ammesso per giunta, di Wasson.

Nei primi tempi Castaneda rilasciò qualche intervista, sei per l’esattezza, ma la loro pubblicazione fu notevolmente ritardata dai direttori delle riviste in questione perché le loro discrepanze erano tali da mettere in pericolo la reputazione delle riviste stesse. Castaneda parlò di un nonno paterno siciliano, ma non ne fu mai trovata traccia. Parlò di un periodo trascorso in Perù in compagnia di una zia e ventidue cugini, ma anche qui non venne mai confutato nulla. Disse di aver prestato il servizio militare nell’esercito degli Stati Uniti, ma il Dipartimento della Difesa non trovò traccia del suo servizio militare. Senza contare innumerevoli studiosi, giornalisti e semplici ammiratori che cercarono in lungo e in largo tracce di Don Juan, di suo cognato Don Genaro o di chiunque potesse affermare la loro esistenza, senza comunque trovare mai nulla che avvalorasse i racconti dall’autore. Anche il Time si interessò alla questione e inviò una redattrice per studiare la questione, d’altra parte i libri di Castaneda si vendevano a migliaia di copie e l’autore sosteneva di conoscere i principi attivi giusti per arrivare a controllare la propria mente, se stessi e il mondo circostante; insomma c’erano tutti gli ingredienti per un grande reportage. L’inviata del Time, Sandra Burton, si trasferì presso l’Università di Los Angeles e cominciò a indagare, d’altra parte il primo libro di Castaneda era stato pubblicato proprio a spese dell’Università e l’autore si era laureato sullo stesso argomento. Per prima cosa la giornalista volle dare un’occhiata alla tesi di laurea di Castaneda, ma questa era riservata, ossia non accessibile al pubblico, cosa che capitava, per ovvi motivi, solo a una cinquantina delle circa trentaseimila tesi depositate ogni anno. De Mille però venne in aiuto della Burton ricordandole che un paio di copie di ogni tesi di laurea dovevano venire depositate presso la biblioteca dell’Università. La Burton riuscì quindi a esaminarne una copia, scoprendo che questa era molto diversa da una comune tesi di laurea in quanto non conteneva né una bibliografia, né una presentazione e nemmeno i nomi e gli indirizzi dei testimoni e dei collaboratori. La tesi di laurea di Castaneda altro non era che il suo terzo romanzo: Viaggio a Ixtlan. Esponendo le sue perplessità ai professori la Burton si trovò davanti un muro di silenzio mitigato solo dalla cortesia degli interlocutori, tutti d’accordo nel considerare quel ragazzo uno studente modello, un genio addirittura, la cui fama in ambito accademico non fu nemmeno incrinata dalla sua discussione di laurea, quando un professore gli chiese: «Quando lei afferma che la sua testa si trasformò in un corvo e spiccò il volo, lo fa in senso figurato, vero?» e Castaneda rispose: «No, no, si trasformò materialmente in un corvo e volò materialmente via.»


La cosa può sembrare strana ma persino il grande Federico Fellini si interessò ai libri di Castaneda e volò negli Stati Uniti, accompagnato da Andrea De Carlo, per incontrare Castaneda e parlare di un film basato sui suoi libri. Ma dopo lunghe conversazioni e un viaggio in Messico Castaneda sparì, allarmato da segnali preoccupanti, che a parer mio altro non erano che le discrepanze che sarebbero potute venir fuori durante la lavorazione.


Castaneda dunque voleva diventare famoso, e ci riuscì al di sopra di ogni previsione, ma purtroppo non poté godersi la propria fama, perché se si mostrava in pubblico, inevitabilmente, il castello che aveva costruito crollava.

Con questo non voglio dire che i suoi libri non debbano essere letti, tutt’altro, per quanto puri romanzi essi racchiudono comunque schegge di saggezza inconfutabili, come quando Castaneda chiede al proprio maestro com’è possibile avventurarsi sulla strada del potere e condurre una vita da guerriero, e Don Juan risponde: «Semplice, non dovrai mai abbassare la testa di fronte a nessuno e non dovrai permettere mai che qualcuno la abbassi di fronte a te.» Saranno anche romanzi, ma questo è un insegnamento degno d’essere messo in pratica.




patrizio pinna

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