Le solite tre domande

La domanda che mi viene posta più spesso è: come mai distribuisci gratuitamente la maggior parte dei tuoi lavori, non è meglio venderli, non sminuisci così il loro valore? La domanda, in effetti ha anche un senso. Il lavoro (in qualsiasi sua forma) va pagato, ma io non sono uno scrittore professionista, faccio un altro lavoro e scrivo per passione. Per passione produco qualcosa bene o male di artistico e mettere un prezzo all’arte produce ovvie conseguenze, l’arte smette di essere tale e diviene professione, anche se retribuita ridicolmente. Tutto ciò è ovviamente concettuale, ma vero. Senza contare che comunque sarebbero in pochi ad acquistare i lavori di uno scrittore sconosciuto, anche se con parecchi anni di esperienza. Preferisco quindi lasciare liberi di circolare i miei prodotti liberi da vincoli editoriali e devo dire che, alla fine, lo fanno meglio delle copie stampate e distribuite in libreria dei loro due fratelli editi.
Mi interessa avere dei lettori e collezionare opinioni. Ho iniziato a condividere i miei lavori ai tempi di Mitote, nel lontano 1995 e ho fondato e gestito la prima biblioteca dell’inedito in Rete. Sono stato praticamente uno dei primi autori self-publishing, quando questo obbrobrio semantico non era ancora stato partorito. Ciò mi ha concesso di tessere una discreta di rete di contatti e di amicizie, alcune virtuali, altre decisamente reali, e mi ha messo in contatto con realtà e modi differenti, mi ha permesso, in pratica, di confrontarmi e crescere. La Rete ai tempi era più intima, non tutti si erano ancora svegliati scrittori e questo mi ha permesso di coltivare il mio zoccolo duro di estimatori nevrotici, per citare Il Grande Freddo, che ancora mi seguono e sono i primi a leggere ogni mio delirio. Ho un sito adesso da cui distribuisco i miei lavori, un sito bipolare a dire la verità, con una zona retrò più adatta ai dispositivi desktop e una zona minimalista per i dispositivi mobili, e adesso anche questa sorta di non luogo dove posterò, forse, anche qualche altro mio contributo. Non ho mai sopportato granché l’idea di un blog , ma mi consente di distribuire i miei lavori con la possibilità di un feedback immediato da parte dei lettori. Non ho le competenze, e soprattutto la voglia, di perdere tempo per implementare in qualche modo un metodo di comunicazione sul mio sito che premetta agli utenti di disquisire tra loro e con il sottoscritto e non vorrei tediare più del dovuto i miei amici sui social.  Posso inoltre, come ho già fatto nei post precedenti, prendermi la libertà di parlare di qualche libro o questioni inerenti alla letteratura.
C’è un’altra domanda che altri scrittori (o sedicenti tali) mi fanno spesso e a cui spero di non dover più rispondere: No, non effettuo nessun servizio di correzione di bozze, di revisione o di semplice valutazione. Non ne ho la formazione né il tempo. Leggo molto, circa cinquanta libri all’anno e scelgo con cura le mie letture, avendo poco tempo per farlo non posso permettermi di gettarlo leggendo libri che non mi interessano o magari semplicemente brutti.
La terza cosa che spesso mi viene chiesta è come mi presento agli editori. Beh, anche in questo non vi saprei aiutare perché a parte qualche raro inciampo giovanile non mi presento affatto. Non invio manoscritti agli editori, né grandi né indipendenti, in quanto non esiste più la possibilità di essere scovati (sempre a patto che si abbia un lavoro davvero valido da presentare e non è detto che sia il mio caso, intendiamoci). Il lavoro di scouting ormai è reso impossibile dalla democratizzazione della scrittura. Chiunque, ormai, privo di qualsivoglia talento, ma alla ricerca dei famosi 15 minuti profetizzati da Warhol, intasa le caselle di posta elettroniche delle poche case editrici rimaste. Le più grandi, per definizione, non prendono in considerazione nulla di esordiente, a meno che non abbia già venduto un tot di copie con una casa editrice indipendente o che l’autore non abbia già un suo pubblico in qualche altro settore o che sia amico o leccapiedi di qualche addetto ai lavori. Le case editrici indipendenti invece devono sottostare ad un minimo di scouting, ma alla fine soccombono con scelte incomprensibili (almeno per il sottoscritto) pubblicando libri inutili che ovviamente non conducono in nessun dove, nonostante magari qualche prestigiosa nomination o altro. Se aveste tra le mani il manoscritto dell’Ulisse, per esempio, potreste star certi che nessuno vi prenderebbe in considerazione ora come ora. Questi sono tempi culturalmente bui, la qualità stessa dell’editoria ne è la prova. Gli scrittori ormai non esistono più, esistono solo addetti ai lavori che vengono utilizzati a 360 gradi e/o prestati ad altre case editrici in cambio di altre pubblicazioni. Gli stessi addetti ai lavori, quelli veri, gli editor, i traduttori, etc., non sono più tali, tutto il lavoro viene girato a poveri universitari freschi di studio, senza esperienza e mal retribuiti che alla fine danno in pasto alle stampe libri pieni di refusi o traduzioni a dir poco sommarie. Mai prima dell’ultimo decennio mi capitava di trovare refusi nelle pubblicazioni che leggevo, mentre ultimamente ho trovato errori anche in libri di David Foster Wallace, di Tom Robbins, di Thomas Pynchon e perfino in testi più spessi come quelli di Deleuze e Guattari: roba grossa insomma. Quindi non spedisco più nulla alle case editrici, né in cartaceo né per email. Qualche anno fa sono stato trovato in Rete da un’agenzia editoriale romana che aveva scelto di rappresentare uno dei miei romanzi: Prese di coscienza, quindi sono voltato a Roma e ho firmato il contratto in oggetto, ma l’agenzia purtroppo non ha retto la crisi del settore e pochi mesi dopo ha suo malgrado dovuto chiudere i battenti prima ancora di trovare un collocazione al mio lavoro. Ho provato per qualche tempo a cercare un nuovo agente ma mi sono scontrato con meccanismi psicotici, siti temporizzati e altre diavolerie incredibili che differenziano gli agenti “seri” da quelli che invece prenderebbero qualsiasi manoscritto in lettura in cambio di una somma di denaro, l’equivalente in pratica delle case editrici a pagamento: gente da cui girare veramente alla larga.
E questo, più o meno, per il momento è quanto.

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