I Vagabondi del Dharma - Jack Kerouac


I vagabondi del Dharma è un libro d’ispirazione religiosa, Kerouac, insieme ai suoi amici, protagonisti della scena beat americana, è alla ricerca di una nuova verità rappresentata dal Dharma dei buddisti. Il Dharma è un concetto molto difficile da esprimere in poche righe, una sorta di legge della natura, di stato in cui le cose sono, di fine ultimo dell’universo. Questa ricerca - sconfusionata ma autentica - parte dai fumosi locali jazz di North Beach, tra grandiose bevute e jam session di musica e parole, per passare attraverso l’esaltante scalata del Matterhorn assieme a John Montgomery e Gary Snider - che tra l’altro è un famosissimo studioso e ambientalista americano, purtroppo poco tradotto nel nostro paese - le meditazioni notturne nei boschi - nei pressi degli scali merci dove l’autore era solito acchiappare al volo il proprio passaggio - o su qualche spiaggia solitaria... per arrivare poi - passando anche attraverso qualche orgia rituale d’ispirazione orientale - alla grande festa per salutare l’amico di partenza per il Giappone e prendere il suo posto come guardaboschi sul picco della desolazione, nella Catena delle Cascate a nord ovest di Washinton. Proprio in questa capanna - come avvistatore d’incendi - davanti al monte Hozomeen, che per Kerouac simboleggiava il Vuoto buddista, l’autore terrà un diario che diventerà il termine dei Vagabondi del Dharma e la prima parte di Angeli di desolazione.


Dalle luci e dal frastuono delle città l’autore, grazie all’incontro con Gary Snider - Japhy Ryder nel libro - viene sbalzato per la prima volta nella natura vera e propria e, con una passione quasi infantile verso un’esperienza per lui completamente nuova - ma all’ordine del giorno per il suo amico - ne sarà un reporter impeccabile, elevando un’esperienza tanto semplice - quanto inusuale per lui - a livelli eccelsi. Per un paio di giorni Kerouac si trasformerà in un Bhikku, un monaco vagante buddista, scoprendo quasi il significato del Dharma. Purtroppo al rientro in città l'autore sarà di nuovo risucchiato dalle mille luci colorate e per quanto continui a cercare la propria illuminazione, questo diverrà sempre più difficile in presenza di tante distrazioni e della partenza dell'amico alla volta del Giappone.

Cosa mi attira di questo libro? Kerouac è sempre stato un grande narratore, il suo stile Bop, come lui amava definirlo, era di natura jazzistica. Come i grandi musicisti del dopoguerra, infatti, Kerouac riusciva a sincopare, boppare, portare all’apice - per poi salire ancora - i propri periodi. Kerouac era un musicista, un musicista ai livelli di Charlie Parker, solo che non suonava il sax, Kerouac usava le parole. Nonostante i grandi eccessi Kerouac possedeva una memoria eccezionale e riusciva a riscrivere, parola per parola, intere discussioni avvenute molti giorni e molte sbronze prima. Grazie a questa dote i dialoghi risultano sempre freschi, appassionati, mai banali o artificiosi, questo grazie anche alla prosa spontanea che ha sempre sostenuto strenuamente. Riscrivere, infatti, era considerato una sorta di tradimento nei confronti del flusso di coscienza.


 Questo saltare da un concetto all’altro seguendo le libere associazioni a cui siamo abituati mentalmente potrebbe distrarre i lettori più tradizionali, ma solo in principio. Una volta acquisita un minimo di dimestichezza non possiamo che rimanere affascinati dai suoi lunghi periodi, quasi assenti di punteggiatura che - come un improvvisazione jazz - ci conducono sempre più alto, fino a che il musicista, senza più fiato, non può far altro che risolvere l’assolo e prendere respiro.

 Attenzione però, il jazz però non è un genere musicale adatto a tutti. A chi non possiede un orecchio allenato può dare fastidio anche fisicamente. Questo perché le nostre orecchie sono abituate ad ascoltare solo la scala melodica in quanto presente in natura in ogni suono, tra gli armonici che lo compongono. Per questo Kerouac, oltre a essere stato un grande scrittore, aveva anche un’altra fondamentale dote: avvicinava - e avvicina - inconsciamente il lettore alla comprensione del jazz in quanto tale. Una volta presa confidenza con i suoi periodi anche le nostre orecchie saranno più ben disposte verso le dissonanze che il jazz tende a risolvere a fine battuta, proprio come faceva lui a fine periodo.

Attenzione però, perché il jazz potrebbe cambiarvi la vita…

E a quel punto non potrete più tornare indietro.



patrizio pinna

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