Bad Monkeys - Matt Ruff

Era il 2007, forse 2008, non ricordo. Stavo cazzeggiando alla Feltrinelli, quella vera che sorgeva in cima in via XX Settembre, non quella cazzata di adesso in via Ceccardi che al posto dei libri e a scapito dei libri, soprattutto, vende cornici, vernici e altre inutilità del genere e che, proprio a scapito dei libri, nonostante i locali di dimensioni inenarrabili, niente meno che l’ex cinema Universale, ha lasciato a casa qualcosa come diecimila titoli nel trasloco. Almeno così mi avevano confessato le mie fonti ai tempi. Stavo in quel periodo revisionando uno dei miei romanzi, uno scritto in prima persona, come qualche lettore mi aveva fatto notare. Prima persona, terza persona, cazzate del genere non le avevo mai prese in considerazione, scrivevo per quello che mi sentivo, se era una storia che potevo narrare personalmente lo facevo, altrimenti mi affidavo a un alter ego, senza pensare effettivamente se volessi nascondermi dietro il personaggio, dargli semplicemente voce o interpretarlo. Non che inconsciamente non lo facessi, intendiamoci, semplicemente non ci pensavo, seguivo il flusso. Qualcuno, però, mi aveva messo questo tarlo in mente e quel pomeriggio, mentre pascolavo tra i libri per ammazzare il tempo, fui attirato da un volume di colore giallo con una scimmia stilizzata in copertina. Sfogliai il libro tanto per passare il tempo, lessi la quarta di copertina e sfogliai svogliatamente qualche pagina. A questo punto notai che era scritto in prima persona, quindi lo acquistai, senza particolare stimolo, senza aver mai sentito nominare l’autore, giusto per farmi un’idea, per pura curiosità professionale. Non era nemmeno il mio genere, tuttavia, una volta tornato a casa ne rimasi rapito e lo terminai in un paio di giorni.






Il libro in questione si intitola Bad Monkeys, di Matt Ruff, pubblicato in Italia da Fazi Editore nel 2007 e tradotto da Francesco Pacifico. Nel libro la protagonista, tale Jane, mi sembra di ricordare, viene arrestata e torchiata nella sezione psichiatrica della prigione dove ammette di far parte delle Bad Monkeys, un’organizzazione dedita a liberare la società dal male. Durante gli interrogatori Jane rivela un’infinità di dettagli sul modus operandi delle Bad Monkeys: telefoni pubblici che basta sollevare per ricevere istruzioni, messaggi nelle parole crociate, dollari con occhi e orecchie e altre simili assurdità che poi, specialmente nel panottico digitale dentro al quale ci muoviamo, tanto assurde potrebbero non essere. Una lettura scorrevole, un thriller leggero, a metà strada tra il noir e la fantascienza, senza particolari pregi ma di sicuro anche senza particolari difetti, e di questi tempi non è davvero cosa da poco. Un libro che nel mio caso è arrivato davvero al momento giusto, sempre che questo sia stato davvero un caso. Ormai, conoscendo i metodi e le possibilità delle Bad Monkeys, non posso essere più certo di nulla. Alla fine del libro infatti è impossibile stabilire se Jane sia realmente una Bad Monkeys o se sia realmente pazza. Qualsiasi chiave di lettura funziona perfettamente, ed è questo alla fine quello che più ho apprezzato di questo autore che non conoscevo e che, per quanto non si possa certo paragonare a Philip K. Dick, come la casa editrice prova a fare nella quarta di copertina, non ha ancora avuto in Italia il successo che merita. Io, forse, non essendo un particolare cultore dei due generi su cui Matt Ruff si tiene in equilibrio, non ho le competenze adatte a scriverne una recensione dettagliata (non è nemmeno il mio scopo), ma l’unica cosa importante è che il libro mi sia piaciuto e questo, devo dire, magari anche per la mia impreparazione, mi è piaciuto davvero parecchio. E comunque, anche fossero le mie lacune ad acuirne la bellezza, Matt Ruff avrebbe comunque centrato nel segno, guidandomi dolcemente verso colleghi con più esperienza, trame più impegnative e così via. Mica poco, no?
A proposito, quando penso a Bad Monkeys mi torna sempre in mente Mullholland Drive di David Lynch: il film, ovviamente. Alla fine della lettura, infatti, mi sono sentito sballottato e preso in giro allo stesso modo in cui mi sentii terminata la visione del film proprio in quel cinema dove adesso, nella mia città, sopravvive la storica libreria depauperata di diecimila titoli. Ma questo è proprio quello che ho apprezzato nel libro e che avevo apprezzato nel film: riuscire a non fornire una precisa chiave di lettura rendendole tutte accettabili. Cospirazione o pazzia, sogno o realtà, dunque? È davvero così importante saperlo? Io non credo, per me è stato importante scoprire Matt Ruff, così, per caso, come nell’infanzia spesso mi succedeva acquistando dischi solo per la copertina. Ma coi dischi era un conto: gli anni ’80 erano agli esordi e per quanto a caso pescassi beccavo sempre un album dei Dire Straits, dei Pink Floyd, dei Police o dei Rolling Stones, per esempio, che proprio con Emotional Rescue mi lasciarono inizialmente interdetto, ma la musica considerata di merda, ai tempi, era riconoscibile e i dischi dei Bee Gees, di Donna Summer, di Gloria Gaynor o degli Earth Wind and Fire non venivano venduti in sacchetti neri come quelli della spazzatura e non avevano mucche o prismi in copertina. Magari li avessero avuti, cazzo. Forse avrei persino potuto imparare a ballare.
Mentre con i libri, lo sapete meglio di me... Con i libri è davvero tutta un'altra storia.



patrizio pinna

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